sabato 28 aprile 2018

Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui

«La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samarìa: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero.» (At 9,26-31)

«Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.» (1Gv 3,18-24)

«Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla.» (Gv 15,1-8)

Il Vangelo della quinta domenica di Pasqua fa risuonare più volte l’esortazione a rimanere nel Signore o, meglio, a permettere al Signore di rimanere in noi.
Rimanete in me e io in voi. Il verbo greco usato dall’evangelista Giovanni ha il significato di “dimorare stabilmente”, quindi allude alla stabilità: il Signore ci invita a prendere dimora in Lui e ci chiede di lasciarlo dimorare stabilmente in noi. Noi in Lui e Lui in noi. Solo custodendo questa reciproca in abitazione, questa comunione d’amore, la nostra vita porterà frutto.
È lo Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, che realizza in noi questa comunione: l’Amore tra il Padre e il Figlio effuso nei nostri cuori. Questa comunione, però, va custodita. Nella lettera agli Efesini S. Paolo ammonisce: non contristate lo Spirito Santo (Cfr. Ef 4,30).
La Parola di Dio di questa domenica, oltre ad esortaci a rimanere stabilmente in Cristo, ci indica anche come custodire la comunione con Lui. È per questo che ci raccomanda di camminare nel timore del Signore (I lettura), di osservare i suoi comandamenti, cioè di credere in Gesù e amarci gli uni gli altri (II lettura) e di fare rimanere in noi le Sue parole (Vangelo). Tre modi per esprimere, in effetti, la stessa cosa: l’obbedienza a Dio. Le tre letture di oggi, però, ci danno anche tre sottolineature che arricchiscono il concetto di obbedienza. 
Il timore del Signore, di cui ci parla la prima lettura non è paura del Signore; è, invece, quel sentimento di rispetto e di fedeltà che aiuta a fuggire il male e a scegliere il bene e, se abbiamo peccato, a pentirci. È l’amore del figlio che non vuole rattristare il padre amato; è l’amore del giovane che non vuole rattristare colei che ama. Obbediamo a Dio, quindi non per paura del castigo, ma per amore, per non contristarlo, per compiacerlo, perché “possa essere contento di noi”.
La seconda lettura ci presenta l’esigenza di osservare i comandamenti, cioè di credere in Gesù e quindi di amarci gli uni gli altri. Il motivo per osservare i comandamenti, infatti, e in maniera particolare il comandamento dell’amore reciproco che garantisce l’autenticità dell’amore per Dio, è che ci fidiamo di Gesù. Non ci amiamo tra noi perché siamo simpatici o perché ne traiamo un vantaggio materiale. Così ama il mondo. Ci amiamo reciprocamente e gratuitamente, invece, perché crediamo che così siamo amati da Gesù che ha dato la vita per noi; e perché ci fidiamo di Gesù che ci ha indicato la croce, l’amore gratuito, come via perché la nostra vita possa essere piena di senso.
Per poterci fidare di Lui, per potergli credere, infine, è necessario che Lo conosciamo e conosciamo ciò che ci chiede. Per questo la terza raccomandazione di oggi è di fare dimorare in noi la Sua Parola. Solo se abbiamo un contatto assiduo e profondo con la Sua Parola, infatti, possiamo conoscere chi è Gesù e conformare la “nostra mente” non al modo di pensare del mondo, ma alla volontà di Dio (Cfr. Rm 12, 2).
… senza di me non potete far nulla. Gesù oggi ci chiede di custodire la comunione con lui, la reciproca in abitazione, perché la nostra vita sia ricca di frutti, perché possiamo realizzare pienamente la nostra vita. Lui ci dona tutto se stesso, il Suo Corpo, il Suo Sangue, il Suo Spirito: accogliamolo in noi, lasciamoci guidare da Lui nella nostra quotidianità, non a parole e con la lingua, ma coi fatti e nella verità: saremo realmente suoi discepoli e porteremo frutti di vita eterna.


Fr. Marco

venerdì 20 aprile 2018

Il Buon Pastore conosce le sue pecore


« … In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (At 4,8-12)

«Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.» (1Gv 3,1-2)

«Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore.» (Gv 10,11-18)

La quarta domenica di Pasqua è detta Domenica del Buon Pastore perché nel Vangelo Gesù si autorivela come il “Bel Pastore” (letteralmente): il pastore ideale, quello vero, contrapposto al mercenario per il quale le pecore che gli sono affidate sono solo un mezzo per “pascere se stesso” (Cfr. Ez 34).
Ciò che fa da discrimine tra il vero (bello/buono) pastore e coloro che lo sono solo in apparenza, è la capacità di donare la vita per le “pecore”. Il mercenario è interessato solo a se stesso e al proprio guadagno, non “conosce” le pecore, non gli interessa di loro. Il Pastore, invece, “conosce” coloro che gli appartengono, è interessato a loro. Nella pagina evangelica di questa domenica, inoltre, oggi Gesù manifesta pienamente la Sua Libertà: «io do la mia vita … Nessuno me la toglie: io la do da me stesso». Il dono della vita in obbedienza al Padre è l’atto di più grande libertà di Gesù.
«Conosco le mie (pecore) e le mie (pecore) conoscono me». In questo versetto 14 il testo greco non usa il termine “pecore”, ma soltanto l’aggettivo “mie” («Conosco le mie e conoscono me le mie») che diventa in tal modo ciò che ci identifica: gli apparteniamo.

«… come il Padre conosce me e io conosco il Padre» Dopo avere detto che gli apparteniamo e che ci conosce, oggi il Signore specifica pure il modo in cui ci conosce: «Come il padre conosce me». Vale la pena allora di chiedersi in che modo il Padre conosce il Figlio: con una comunione d’amore inscindibile che li rende “una cosa sola”. Il Buon Pastore, quindi, ci conosce con una “conoscenza d’amore” che ci unisce a Lui: nel battesimo, infatti, siamo stati uniti inscindibilmente a Lui, nella Comunione Lui ci unisce alla Sua passione morte e resurrezione … Lui ci conosce, ha unito la Sua vita alla nostra, ci ama per quello che siamo, non per quello che appariamo o che dobbiamo essere. Lui ci vuole felici. Il mondo, invece, non ci “conosce”, non ci ama, non può renderci felici, ci costringe troppo spesso ad essere ciò che non siamo.
Solo Gesù è il vero/buon Pastore. S. Pietro oggi nella prima lettura è chiaro: «In nessun altro c’è salvezza». Non seguiamo quindi altri “pastori” che non vogliono (e non potrebbero) darci la Vita.
«Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.» Fin qui abbiamo visto ciò che contraddistingue il Buon Pastore. Ora vorrei soffermarmi brevemente sulla caratteristica distintiva di chi gli appartiene (“le mie”): l’ascolto obbediente e la comunione reciproca. Ecco ciò che ci deve caratterizzare se Gli apparteniamo. Ecco da cosa possiamo riconoscere se siamo Suoi, se viviamo secondo la grazia del nostro Battesimo: da figli di Dio.

Per volontà di Paolo IV, oggi è anche la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni: come ci ricorda l’ultima esortazione di Papa Francesco, Gaudete et exultate, tutti siamo chiamati alla santità (la vocazione universale), ma a questa ciascuno è chiamato per una “via” personalissima. La nostra piena realizzazione, la nostra felicità, dipende dalla capacità di comprendere e realizzare questo personale progetto d’amore.
Questa domenica vorrei invitarvi a pregare in maniera particolare per i presbiteri, che il Signore chiama ad essere suoi collaboratori nel ministero pastorale, e per le persone di vita consacrata, frati e suore, che sono chiamati ad essere segno profetico della totale dedizione al Regno. A ogni cristiano, ma a loro in maniera particolare, il Signore chiede di fare della propria vita un dono giorno per giorno, di dimenticarsi di sé (rinnegare se stessi), per amore di Dio e dei fratelli. Tutto ciò, lo sperimentiamo, non è facile, ma è l’unica strada che conduce alla piena realizzazione, alla Gloria eterna. Sosteniamoci reciprocamente in questo cammino perché ciascuno di noi, restando fedele alla vocazione che ha ricevuto, possa giungere alla Pienezza della Vita per l’eternità.
Fr. Marco.


sabato 14 aprile 2018

Da questo sappiamo di averlo conosciuto ...

« … Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni … Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati».(At 3,13-15.17-19)

«Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: “Lo conosco”, e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità.» (1Gv 2,1-5)

«… i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus narravano … ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto Gesù nello spezzare il pane. Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. … Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture …». (Lc 24,35-48)

Il Vangelo della terza domenica di Pasqua si apre con un riferimento immediato all’apparizione del Risorto ai “discepoli di Emmaus”: mentre i discepoli sono radunati e si scambiano i racconti dei loro personali incontri con il Risorto, Gesù “sta” in mezzo a loro e, ancora una volta, dona loro la Pace, il dono pasquale per eccellenza, la piena riconciliazione con Dio grazie alla quale è possibile la riconciliazione con i fratelli e il creato.
Penso vada sottolineato che anche questa volta i discepoli si mostrano Sconvolti e pieni di paura. La resurrezione gloriosa di Cristo, infatti, sconvolge ogni logica umana, non può essere “incasellata”; non si può assimilare a nessuna esperienza precedente: è qualitativamente diversa dalle “rivitalizzazioni” operate durante il ministero pubblico di Gesù.
… credevano di vedere un fantasma. Penso che anche noi possiamo cadere in questo errore: l’evento Cristo è talmente sconvolgente ed ha implicazioni tali, che possibilmente anche noi lo releghiamo ai “confini del reale”; Gesù diventa così per noi “un’ombra”, qualcuno vissuto nel passato, di cui ci ricordiamo, magari, la domenica durante la Messa, ma che poco ha a che fare con la nostra quotidianità. 
… Sono proprio io! Il Maestro oggi ci ricorda che è reale, che si fa nostro compagno di cammino, che vuole “stare in mezzo” a noi. Viene a mostrarci ciò che in quel pane spezzato, mediante il quale i discepoli di Èmmaus lo hanno riconosciuto, è rappresentato sacramentalmente: mostra ai discepoli i segni della Passione, il Suo Corpo spezzato per noi. Per vincere l’incredulità dei discepoli, infine, apre le loro menti alla comprensione delle Scritture. Parola di Dio e Pane Spezzato: ecco il modo in cui anche noi oggi, durante la celebrazione eucaristica domenicale possiamo fare esperienza del Risorto!
«Convertitevi e cambiate vita!» Perché sia possibile l’incontro con il Risorto, però, è necessario che accogliamo l’invito che Pietro ci fa nella prima lettura. Bisogna convertirsi, lasciare le vie dell’egoismo e percorrere la via dell’Amore. Bisogna cambiare il nostro modo di pensare e di vivere per potere accogliere l’inedito, la novità assoluta della Vita Nuova che Cristo è venuto a regalarci. Bisogna riconoscere i propri peccati e prenderne la distanza, se vogliamo accogliere in noi la Gioia che viene dall’incontro con il Risorto, una gioia che il mondo non conosce e non può donarci. 
Nella seconda lettura di oggi, infine, Giovanni ci indica il criterio per scoprire se realmente “conosciamo” il Risorto, se, cioè, lo abbiamo incontrato e ne abbiamo fatto esperienza: «Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti».
L’obbedienza alla logica del Vangelo, quindi, ai comandamenti che, lo sappiamo bene, hanno la loro radice e il loro spirito nel duplice comandamento dell’Amore di Dio e dei fratelli. 
A questo punto è bene domandarci: siamo capaci di Amare Dio concretamente e non “a parole e con la lingua”, dandogli il primo posto nella nostra vita, o abbiamo altri idoli a cui sacrifichiamo tempo ed energie? Siamo capaci di Amare i fratelli anche quando ci fanno del male (perdonandoli e pregando per loro), o li consideriamo solo in funzione utilitaristica al nostro benessere? Ricevendo il Corpo di Cristo, facciamo comunione con Lui che “si spezza”, si fa dono, per Amore del Padre e dei fratelli. Viviamo nella quotidianità la dimensione dello “spezzarci per amore”?
Da questo dipende la nostra possibilità di incontrare Gesù risorto e di sperimentare la vita da risorti, quella “Vita eterna” qualitativamente differente che comincia già qui. Auguri.
Fr. Marco

sabato 7 aprile 2018

Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!


«La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune.» (At 4,32-35)

«Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede.» (1Gv 5,1-6)

«“Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”». (Gv 20, 19-31)

Nella seconda domenica di Pasqua per volere di s. Giovanni Paolo II celebriamo la Festa della Divina Misericordia.
La liturgia della Parola ci colloca ancora in quel “primo giorno della settimana” in cui la morte è stata sconfitta e la Vita ha vinto. Il sepolcro è aperto, Maria Maddalena ha portato agli apostoli l’annuncio della resurrezione ed essi stessi hanno visto il sepolcro vuoto.
Il Vangelo di oggi, tuttavia, inizia descrivendo un contesto di chiusura a causa della paura: la tomba è stata aperta, ma la porta del cuore degli apostoli è ancora chiusa ed essi sono timorosi. In questo contesto di chiusura e paura il Signore mostra la sua Misericordia presentandosi ai discepoli e donando loro quella Pace che sola è capace di suscitare una gioia che il mondo non conosce e che nulla può toglierci.
«Pace a voi!». Il saluto di Cristo, infatti, non è un augurio, ma è il dono pasquale per eccellenza, il frutto della redenzione: la riconciliazione con Dio non più visto come un padrone tirannico, ma come un Padre amoroso.
Vorrei sottolineare il fatto le porte del cenacolo restano chiuse: il Signore ha già aperto il sepolcro e sconfitto la morte e, con essa, ogni paura; noi, però, siamo chiamati ad aprire la porta del nostro cuore alla Sua Misericordia che viene a donarci la Grazia e la Gioia perché possiamo uscire dalle nostre paure e annunziare la Sua resurrezione. 
«A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati». Dopo avere donato loro la Pace, il Risorto dona ai suoi apostoli anche l’autorità di trasmettere il perdono e la Pace (citati nella formula dell’assoluzione): dona lo Spirito per la remissione dei peccati e costituisce i suoi apostoli ministri della Sua Misericordia.
Il Vangelo di oggi, però, ci mostra anche un’ulteriore manifestazione della Misericordia Divina che si china sull’incredulità di Tommaso per vincerla. Tommaso, infatti, forse è rimasto talmente scandalizzato dalla passione, da non riuscire a credere nella resurrezione. Gesù ha misericordia di Lui e gli concede la prova che aveva richiesto. 
«Mio Signore e mio Dio!» La tradizione e l’arte (penso per esempio al dipinto di Caravaggio in questo post) ci consegnano l’immagine di Tommaso che tocca le piaghe. È possibile che sia avvenuto così, l’evangelista però non lo specifica. Possiamo lecitamente supporre, perciò, che a Tommaso sia bastato sperimentare la Pace donata da Gesù e ascoltare la Sua voce per riconoscere il Maestro esprimere, lui “l’incredulo” la più completa professione di fede nella divinità di Gesù chiamandolo Signore e Dio.
È proprio grazie alla incredulità di Tommaso, infine che il Signore riversa anche su di noi la Sua Misericordia formulando quella beatitudine che ci riguarda in prima persona: “beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”. Una beatitudine che raggiunge anche noi nella misura in cui abbiamo quella fede che vince il mondo (II lettura), quella fede che diventa fiducia, confidenza, e che, per questo, vince ogni paura e ci rende capaci di amare i fratelli.
Fidandoci di Lui, infatti, confidando nel Suo Amore misericordioso e provvidente, non avremo più paura della morte, non avremo più bisogno di accaparrare cose quasi che da esse debba venirci la Vita: saremo capaci di usare misericordia verso i nostri fratelli e di condividere (I lettura). Raggiunti dalla Sua misericordia attraverso i Sacramenti e riconciliati con il Padre, inoltre, saremo ricolmi di una gioia tale da renderci capaci di affrontare qualsiasi prova nell’attesa dell’incontro finale con Lui. Auguri.
fr. Marco