sabato 31 marzo 2018

Viventi per Dio in Cristo Gesù

«Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova.» (Rom 6,3-11)

La solenne liturgia di Pasqua è ricca di simboli ed è già in se significativa. Oggi, tuttavia,voglio soffermarmi sulla simbologia battesimale della luce e dell’acqua che dominano la veglia e il giorno di Pasqua e che sono all’origine di ogni vita cristiana: il cero pasquale, simbolo eminente del Cristo Risorto, e l’acqua lustrale, in cui siamo rinati a nuova vita nel Battesimo, e dalla quale durante la veglia siamo stati aspersi.
La luce e l’acqua dunque, elementi indispensabili alla vita naturale, trasfigurati diventano anche elementi indispensabili alla vita soprannaturale, quella vita in Cristo che trova la sua origine proprio nella resurrezione del nostro Signore.
Il Battesimo, infatti, è l'inizio della nostra risurrezione. È la venuta del Risorto in noi! È l’inizio di vita nuova, perché il Signore presente cambia le nostre logiche, le nostre abitudini, i nostri rapporti.
Ciò che celebriamo a Pasqua, non è mero folclore, né un evento relegato al passato, ma è un memoriale che riattualizza l’evento principale della nostra salvezza: Cristo ha sconfitto il peccato e la morte, non siamo più schiavi del peccato che ci separava da Dio e dai fratelli, la pietra che ci imprigionava nel sepolcro è stata rotolata via: la Vita è libera.
Mediante la venuta del Risorto, infatti, ogni battezzato, vive in comunione con Gesù Cristo, nel corpo di Cristo che è la Chiesa, «uno in Cristo» (Gal 3, 28). Nel Battesimo il Signore risorto è entrato nella nostra vita per la porta del nostro cuore. Noi non siamo più uno accanto all'altro o uno contro l'altro. Il Risorto viene a noi e congiunge la Sua vita con la nostra, tenendoci dentro al suo amore. Noi battezzati diventiamo un'unità, una cosa sola con Lui e una cosa sola tra di noi.
Sta a noi, però, accogliere il dono: Cristo ha sconfitto il peccato e la Morte e ci ha regalato una Vita nuova e piena che è iniziata in noi nel Battesimo, ma non si sostituisce a noi. Lui ci ha donato la libertà dalla schiavitù del peccato, ma siamo noi a doverne fare buon uso e scegliere di servire il Signore della Vita perché la libertà non diventi un pretesto per continuare ad asservirci alle opere della carne. Con il Battesimo, infatti Cristo ha fatto iniziare in noi una vita nuova ed eterna, ma ci ha lasciato la responsabilità di coltivare questa vita o lasciarla appassire.
Proprio perché questa Vita nuova che è iniziata in noi possa crescere e svilupparsi, il Signore ci ha lasciato ciò che è essenziale: la Luce della sua Resurrezione, che si irradia nella Sua Parola proclamata dalla Chiesa la quale nutre la nostra Fede perché possa illuminare ogni ambito della nostra vita. Ci ha lasciato l’acqua del Battesimo che ci ha introdotti nella vita sacramentale permettendoci di nutrire, purificare e rafforzare la nostra Vita perché cresca e porti frutto. Ecco perché durante la santa veglia rinnoviamo i nostri impegni battesimali e veniamo ancora una volta aspersi con l’acqua lustrale: siamo chiamati a ravvivare sempre il dono della vita cristiana perché non venga soffocata dalle spine del mondo.
Il Signore Risorto oggi ancora una volta regala a tanti nostri fratelli che riceveranno il Battesimo una Vita nuova e Piena, una Vita bella che, anche nelle immancabili difficoltà quotidiane, non soccombe al nonsenso, una Vita destinata a durare per l’eternità. Questa stessa Vita oggi la rinnova in noi che già l’abbiamo ricevuta. A noi però la responsabilità di farla sviluppare, di portare frutto. 
La pietra è rotolata, il sepolcro è aperto, non siamo più schiavi del peccato e della morte, vogliamo Vivere la vita vera o continueremo a restare nei nostri sepolcri?
Il Signore Risorto ci conceda di morire ogni giorno al peccato per potere vivere “per Dio in Cristo Gesù”. Auguri
Fr. Marco

domenica 25 marzo 2018

Gesù abbraccia il mistero della Croce

«Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi.» (Is 50,4-7)

In questa domenica in cui contempliamo la Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Marco, la prima lettura, tratta dal terzo canto del servo del Signore nel libro del profeta Isaia, mi dà una chiave di lettura per accostarmi al lungo racconto evangelico.
Nel racconto della Passione vediamo, infatti, il modo in cui Gesù abbraccia il mistero della Croce. Un mistero salvifico in cui anche noi siamo invitati ad entrare. A volte noi chiamiamo “croce” una malattia, una disgrazia, … qualcosa che, non avendo un responsabile immediatamente identificabile, ci sembra venire direttamente da Dio. Ciò nonostante, non di rado facciamo fatica ad accettarla; tuttavia, convincendoci che è la volontà di Dio, se proprio non arriviamo ad abbracciarla, almeno ci rassegniamo alla “croce”.
Più difficile, però, è abbracciare una croce che la cattiveria dell’umanità ti carica addosso e leggere in essa la volontà di Dio. È questo ciò che fa Gesù e che oggi la Parola di Dio presenta alla nostra contemplazione perché noi possiamo seguire il Maestro.
Il racconto dell’evangelista Marco, infatti, evidenzia come attorno a Gesù si va raccogliendo il peggio dell’umanità. A cominciare dall’ unzione di Betania in cui si manifesta l’avarizia ipocritamente mascherata da interesse per i poveri: «Perché questo spreco di profumo? Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri!».
Segue il tradimento interessato di Giuda, uno dei dodici, che mette la mano nel piatto con Gesù; forse Giuda voleva piegare Gesù alla sua visione messianica (così alcuni romanzieri hanno letto il suo gesto), ma certamente non  disdegna di guadagnarci: «promisero di dargli del denaro».
Che dire dell’indifferenza mostrata dai discepoli, e soprattutto dai tre testimoni privilegiati, Pietro Giacomo e Giovanni, per l’angoscia del loro maestro? «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare una sola ora?»
«Come se fossi un brigante siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno ero in mezzo a voi nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Si compiano dunque le Scritture!» Quanta amarezza sento in queste parole di Colui che passava beneficando tutti e che ora si vede trattato come un brigante.
Anche Pietro, che fine a poco prima aveva professato la sua assoluta fedeltà, dinanzi i servitori del sommo sacerdote cede alla paura e rinnega il maestro per salvarsi la vita: «cominciò a imprecare e a giurare: “Non conosco quest’uomo di cui parlate”». È sempre così: se non rinneghiamo noi stessi per seguire il Maestro, finiamo per rinnegare Gesù.
Attorno a Gesù si raccoglie la menzogna dei falsi testimoni, la malizia e l’invidia da parte dei capi del popolo, il vigliacco calcolo politico di Pilato che lo consegna perché sia crocifisso pur riconoscendolo innocente («Che male ha fatto?»).
Ancora, a Gesù non è risparmiato il dileggio di quanti fino a poco prima lo avevano accolto festanti: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce! … Ha salvato altri e non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!»
Veramente Gesù si è caricato delle nostre miserie e le ha inchiodate alla Croce perché potessimo liberamente seguirlo. Ma quanto spesso la passione di Gesù continua nelle sue membra sofferenti, in quei piccoli di cui Gesù ha detto «Tutto quello che avete fatto a loro, l’avete fatto a me» (Cfr. Mt 25,40).
Fatto salvo il dovere di opporsi all’ingiustizia soprattutto quando colpisce i nostri fratelli, oggi il Maestro, mentre ci mostra quanto ci ama, ci insegna anche come si abbraccia la croce: rimanendo fedeli alla Verità, non rispondendo male a male, perdonando i propri nemici, pregando per i propri persecutori (cfr. Mt 5,38-48).
Qualcuno sicuramente penserà: «Io non sono Gesù! Questo modo di fare non è umano». Voglio ricordare a quanti la pensassero così che nel battesimo siamo stati conformati a Cristo e siamo chiamati a rendere visibile questa conformità: chi vede un cristiano dovrebbe riconoscervi i tratti del Figlio di Dio.
È vero, il cammino della sequela è difficile, ma Gesù non l’ha mai nascosto: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9, 23). Spesso facciamo esperienza della nostra debolezza e cadiamo. Ma il Signore è sempre pronto a rialzarci perché possiamo riprendere il cammino e giungere con lui, attraverso la Croce, alla Pasqua eterna. Auguri.
Fr. Marco

sabato 17 marzo 2018

Se uno mi vuole servire, mi segua.


«Questa sarà l'alleanza che concluderò con la casa d'Israele dopo quei giorni - oracolo del Signore -: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore» (Ger, 31,31-34)

«Pur essendo Figlio, imparò l'obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.» (Eb 5,7-9)

«In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore.» (Gv 12, 20-33)

Anche in questa quinta domenica di quaresima il Maestro ci indica la Via della Vita che passa imprescindibilmente per la croce accolta e abbracciata per amore. Una Via che comporta l'obbedienza. Non l’obbedienza formale ed esteriore del servo, ma l’obbedienza del figlio, di colui che agisce per amore.
Per questo la croce non può essere subita, sopportata, ma va accolta, abbracciata per amore. Solo così le nostre sofferenze, i nostri sacrifici, saranno croce salvifica.
Chi vuole salvare la propria vita, chi ha l’unica preoccupazione di giungere alla propria felicità, chi vive sempre “in difesa” pretendendo di proteggersi sempre da questo e da quello; chi ha come unica preoccupazione la propria vita, andrà incontro al fallimento: la sua vita sarà inutile come un seme sterile, incapace di portare frutto. 
Se uno mi vuole servire, mi segua. Quella che oggi il Maestro ci insegna è la via della sequela: dietro a Lui siamo invitati a fare della nostra vita un dono d’amore come servizio a Lui gradito. È l’unica via perché la nostra vita possa essere piena e “degna di essere vissuta”. Una via “in salita”, faticosa e difficile, ma l’unica via che conduce alla Vita (differente dalla “sopravvivenza”). 

Spesso, dinanzi la croce, siamo tentati di cercare scorciatoie e vie più comode; il “mondo” ci insegna che dobbiamo curarci principalmente di “stare bene”, ma ogni volta che lasciamo la via della croce sperimentiamo solo una maggiore sofferenza in noi e in chi ci sta accanto. Ogni volta che ci occupiamo di cercare la nostra egoistica felicità, falliamo. Oggi Gesù ci insegna che per giungere alla Vita dobbiamo fare della nostra esistenza un dono. Occuparci non della nostra egoistica felicità, ma di fare felici chi il Signore ci ha messo accanto.

Oggi ancora siamo invitati a scegliere quale maestro seguire: il Signore e Maestro capace di darci la Vita, o i “maestri”, gli idoli, di questo mondo?
Fr. Marco

sabato 10 marzo 2018

Per Grazia siamo salvati!


«In quei giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà … Il Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora.» (2Cr 36,14-16.19-23)


«Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati.» (Ef 2,4-10)

« … Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.» (Gv 3,14-21)

​La quarta domenica di quaresima è detta “domenica Laetare” per la prima parola dell’antifona  d’ingresso: «Rallegrati Gerusalemme …». La Parola di oggi, inoltre, ci indica per che cosa rallegrarci: Dio ci ama!
Già nella prima lettura tratta dal libro delle Cronache, infatti ascoltiamo che Il Signore … aveva compassione del suo popolo e della sua dimora; Dio, che è Amore (Cfr. 1Gv 4,8), ama il suo popolo in maniera “viscerale”, tanto da esserne “geloso”: dopo averlo ammonito senza successo, si allontana per un po’ dal popolo per fargli sperimentare quanto ha bisogno di Lui.
San Paolo, nella seconda lettura tratta dalla Lettera agli Efesini, presentandoci il perché nostra salvezza torna a parlarci dell’Amore di Dio: siamo stati salvati per il grande amore con il quale ci ha amato. Un amore che si manifesta pienamente in Cristo. È mediante la Passione, Morte e Resurrezione del nostro Signore Gesù Cristo, infatti, che siamo passati dalla morte alla vita, dalla schiavitù del peccato alla libertà dei figli di Dio. 
Per grazia siete stati salvati. Non sono le nostre opere ad acquistarci la salvezza, ma è la salvezza, l’Amore di Dio “effuso nei nostri cuori” (Cfr. Rm 5,5), che ci permette di compiere le opere dei figli di Dio.
La proclamazione dell’amore di Dio per l’umanità, in fine, quest’oggi raggiunge il suo culmine nel Vangelo: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito». Per la nostra salvezza Dio dà tutto se stesso, si compromette con noi, si consegna nelle nostre mani fino ad essere crocifisso, per mostrarci la misura del Suo Amore.
Il motivo per cui quest’oggi la liturgia ci invita a rallegrarci, quindi, è l’amore gratuito di Dio per noi, il fatto che siamo salvati per grazia, senza nostro merito.
Per grazia siete salvati. La salvezza che il Signore ci ha acquistato con la Sua Passione, Morte e Resurrezione è rivolta a tutti, tutti il Signore vuole salvare. Ma tale salvezza per grazia è un dono e come tale comporta la libera accettazione da parte dei destinatari. Per questo oggi Gesù paragona il suo mistero pasquale all’innalzamento del serpente nel deserto (Cfr. Nm 21,8s). Come Israele nel deserto è chiamato a guardare alla “conseguenza del suo peccato” per essere salvato dalla morte (i serpenti vengono mandati proprio per rendere visibile il “veleno” della mormorazione), così anche il popolo della Nuova Alleanza è chiamato volgere lo sguardo “a colui che hanno trafitto” per ottenere la liberazione dal peccato.
Il dono gratuito dell’Amore di Dio ci chiama quindi a responsabilità, ci chiede di accoglierlo e di corrispondervi. La prima cosa che siamo chiamati a fare è quindi accogliere questo amore, crederci! Il Vangelo di oggi afferma: «chiunque crede in lui» non va perduto, ma ha la vita eterna. Solo dopo averlo accolto, avere creduto all’amore che Dio ha per noi (Cfr. 1Gv 4,16), potremo corrispondervi.
L’autore della prima lettera di Giovanni ci indica “come” corrispondere all’amore di Dio: «Se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri» (1Gv 4,11).
Guardare a Cristo, accogliere il Suo Amore, significa, quindi, in prima istanza, credere a questo amore, avere fiducia in Lui anche quando non “capiamo” e non percepiamo il Suo amore. Una fiducia che non può essere solo esteriore, “verbale” («non chi dice Signore, Signore …»), ma che deve tradursi in gesti concreti, in una vita che, sull’esempio del Maestro, sa farsi dono.
Oggi Gesù ci ha assicurato che «chiunque crede in lui» non andrà perduto e avrà la Vita eterna. A questo punto, però, è il caso di domandarci: “Io credo in Lui?”. Non rispondiamo affrettatamente, ma guardiamo alla nostra vita, a ciò in cui confidiamo, a ciò di cui siamo convinti di non potere fare a meno … “Io credo in Lui?”
Fr. Marco

venerdì 2 marzo 2018

Non fate della casa di mio Padre un mercato!


«Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile …» (Es 20,1-17)

«Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio.» (1Cor 1,22-25)

«Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2,13-25)

Il Vangelo della terza domenica di quaresima ci presenta la purificazione del Tempio e con essa il tema della vera sapienza e della vera potenza.
L’antico Popolo dell’Alleanza conosceva la potenza di Dio perché aveva assistito ai prodigi compiuti dal Signore per farlo uscire dall’Egitto: le piaghe d’Egitto e il passaggio al Mar Rosso; era stato nutrito e dissetato miracolosamente nel deserto; era stato testimone della Teofania al Sinai, quando il Signore si era manifestato con tuoni e fuoco dal cielo. Il Dio conosciuto da Israele è il “Signore degli eserciti”, un Dio vincitore e operatore di prodigi.
Con il passare del tempo, tuttavia, Israele ha dimenticato il suo legame con il  “Dio operatore di prodigi” per guardare esclusivamente ai “prodigi operati da Dio”: il popolo chiede miracoli dimenticandosi la comunione con Dio.
Israele conosce anche “la sapienza di Dio”: ha ricevuto da Dio le “dieci Parole”, i dieci comandamenti, che manifestano e custodiscono l’Alleanza, il rapporto di reciproca appartenenza, fondata sulla fedeltà di Dio. Israele è quindi chiamato ad essere una luce per le genti pagane: il popolo che ha accesso alla Sapienza di Dio.
Purtroppo, però, dimenticando il rapporto d’alleanza che la Legge mediava, il Popolo eletto ha finito per concentrarsi sulla “lettera della Legge” pretendendo di ottenere “crediti” nei confronti di Dio con un’osservanza scrupolosa, ma formale.
Gesù si scaglia quest’oggi contro questa perversione del culto. Israele ha “addomesticato” il suo Signore intraprendendo con Lui una sorta di mercato: osservanza formale scrupolosa in cambio di prodigi; «Io ti servo, tu mi ricompensi».
L’amore e la comunione con Dio non trova più posto in questa logica mercantile.
È a causa di questo rapporto ormai traviato che il popolo eletto, almeno gran parte di esso, resta scandalizzato da Gesù: cerca i miracoli per se stessi, vuole segni: «quale segno ci mostri per fare queste cose?».
Nel vangelo di oggi, Gesù appare quasi irriconoscibile: il più mite degli uomini si scaglia, con una “violenza profetica”, che ricorda quella del profeta Elia, contro questa mentalità mercantile in cui il culto (i sacrifici) e le offerte sono intese come un “accumulare crediti” dinanzi a Dio; non si cerca Dio, ma il proprio interesse (la carne e la lana che venivano divisi tra i sacerdoti); non c’è più posto per la preghiera, il dialogo d’amore cercato da Dio.
Alla richiesta di un segno, Gesù anticipa quale sarà il segno definitivo in cui si manifesteranno “la potenza e la sapienza di Dio”: «distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere … egli parlava del tempio del suo corpo». È nel mistero pasquale, mistero di morte e resurrezione che Cristo manifesta la potenza e la sapienza di Dio.
Il popolo di Dio vuole un segno e quale segno è più eloquente dell’amore che Dio ha per noi? quale più che la donazione compiuta da Cristo? Il Figlio di Dio dona tutto se stesso, la sua vita, fino a morire in croce, per la salvezza dell’umanità. Il vero segno della potenza di Dio, non è quindi l’aprirsi delle acque del Mar Rosso, ma l’aprirsi, attraverso il costato trafitto di Cristo, dell’amore di Dio per noi. La potenza dell’Amore che, nell’apparente debolezza, risulta vincitore.
Nella croce di Cristo si manifesta pienamente anche la sapienza di Dio, la Nuova Legge, che è lo spirito di quella antica e mai abrogata: accogliere l’Amore del Padre non confidando più sulle proprie forze, quasi che esse ci ottenessero meriti (dandoci l’illusione di salvarci con le nostre opere), e corrispondere con la nostra vita di figli a questo Amore.
La vera sapienza che Cristo manifesta è l’abbandono fiducioso all’amore del Padre. Permettere a Dio di manifestarci il suo amore, accoglierlo come il nostro salvatore. Solo così, ripieni dell’amore di Dio, riconoscendo di essergli debitori di tutto, potremo vivere da figli compiendo le opere del Padre.
Quando parteciperemo alla liturgia eucaristica, noi diventeremo contemporanei alla donazione d’amore di Cristo sulla croce. Di più: accostandoci all’Eucaristia, noi faremo comunione con la Sua morte e resurrezione. Accogliamo in noi questa potenza e conformiamo la nostra vita a ciò che celebriamo, traducendo in gesti concreti e quotidiani di amore gratuito la nostra partecipazione alla passione di Cristo.
Accogliamo, quindi, la sapienza e la potenza di Dio che il mondo non può riconoscere perché rientrano in una logica che gli è estranea. Facciamo nostra questa logica evangelica, sperimentiamo anche noi la sapienza di lasciarci amare gratuitamente da Dio; sperimentiamo, infine, la “potenza inerme” di un amore che si dona senza misura, che fa sempre il primo passo, che perdona sempre il fratello che ha sbagliato e che non smette di manifestargli amore. Non preoccupiamoci se il mondo si scandalizzerà di noi e ci riterrà stolti, stupidi: è questa “stoltezza” che è vera sapienza agli occhi di Dio.
Fr. Marco