sabato 16 marzo 2024

Chi ama la propria vita, la perde

«Questa sarà l'alleanza che concluderò con la casa d'Israele dopo quei giorni - oracolo del Signore -: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore» (Ger, 31,31-34)

«Pur essendo Figlio, imparò l'obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.» (Eb 5,7-9)

«In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore.» (Gv 12, 20-33)

​In questa quinta domenica di quaresima il Maestro, ancora una volta, ci indica la Via della Vita che passa imprescindibilmente per la Croce accolta e abbracciata per amore. La Via della Vita, infatti, implica l'obbedienza del figlio, di colui che agisce per amore, non l’obbedienza formale ed esteriore del servo: la croce non può essere subita, sopportata, ma va accolta, abbracciata per amore. Solo così le nostre sofferenze, i nostri sacrifici, saranno croce salvifica.

Chi ama la propria vita, la perde... Chi vuole salvare la propria vita, chi vive sempre “in difesa”, pretendendo di proteggersi sempre da questo e da quello, ed ha l’unica preoccupazione di giungere alla propria felicità, andrà incontro al fallimento: la sua vita sarà inutile come un seme sterile, incapace di portare frutto.

Se uno mi vuole servire, mi segua. Quella che oggi il Maestro ci insegna è la via del servizio e della sequela: dietro a Lui siamo invitati a fare della nostra vita un dono d’amore come servizio a Lui gradito. È l’unica via perché la nostra vita possa essere piena e “degna di essere vissuta”. Una via “in salita”: faticosa e difficile; ma l’unica via che conduce alla Vita e non solo alla “sopravvivenza”. 

Porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Nella prima lettura abbiamo ascoltato la promessa di una Nuova ed Eterna Alleanza in cui la Legge di Dio non sarà più “esterna” al popolo, ma scritta nel loro cuore. Questa Legge è lo Spirito, l’Amore tra il Padre e i Figlio, effuso nei nostri cuori per renderci capaci di Amare. «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34)

Il Comandamento Nuovo, la legge della Nuova ed Eterna Alleanza è questo amore fino al dono di sé. Solo se saremo docili allo Spirito, se ci lasceremo guidare da Lui, saremo capaci amare come Lui ci ha amato, di perdere la vita, di prendere la nostra croce facendo della nostra vita un dono a chi ci sta accanto.

​Spesso, dinanzi la croce, siamo tentati di cercare scorciatoie e vie più comode. Il “mondo” ci insegna che dobbiamo curarci principalmente di “stare bene”. Ogni volta, però, che lasciamo la via della croce sperimentiamo solo una maggiore sofferenza in noi e in chi ci sta accanto. Ogni volta che ci occupiamo di cercare la nostra egoistica felicità, falliamo.

Oggi Gesù ci insegna che per giungere alla Vita dobbiamo fare della nostra esistenza un dono. Occuparci non della nostra egoistica felicità, ma di fare felice chi il Signore ci ha messo accanto.
Oggi ancora siamo invitati a scegliere quale maestro seguire: il Signore e Maestro capace di darci la Vita, o i “maestri”, gli idoli, di questo mondo?

Fr. Marco

sabato 9 marzo 2024

Chiunque crede in lui non va perduto, ma ha la vita eterna

 «In quei giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà … Il Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora.» (2Cr 36,14-16.19-23)

«Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati.» (Ef 2,4-10)

« … Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.» (Gv 3,14-21)

​La quarta domenica di quaresima, è detta domenica “Laetare” per la prima parola dell’antifona d’ingresso: «Rallegrati Gerusalemme …». La Parola di Dio di oggi, inoltre, ci indica per che cosa rallegrarci: Dio ci ama!

Nella prima lettura, tratta dal libro delle Cronache, ascoltiamo, infatti, che il Signore aveva compassione del suo popolo e della sua dimora. Dio, che è Amore (Cfr. 1Gv 4,8), ama il suo popolo in maniera “viscerale”, tanto da esserne “geloso”: dopo averlo ammonito senza successo, si allontana per un po’ dal popolo per fargli sperimentare che lontano da Lui non vi è che morte e schiavitù.

San Paolo, nella seconda lettura tratta dalla Lettera agli Efesini, torna a parlarci dell’Amore di Dio come causa della nostra salvezza: siamo stati salvati per il grande amore con il quale ci ha amato. Questo amore salvifico di Dio si manifesta pienamente in Cristo. È mediante la Passione, Morte e Resurrezione del nostro Signore Gesù Cristo, infatti, che siamo passati dalla morte alla vita, dalla schiavitù del peccato alla libertà dei figli di Dio.

Per grazia siete stati salvati. Non sono le nostre opere ad acquistarci la salvezza, ma è l’essere stati salvati, l’Amore di Dio “effuso nei nostri cuori” (Cfr. Rm 5,5), che ci permette di compiere le opere dei figli di Dio.

«Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito» In questa affermazione del Vangelo la proclamazione dell’amore di Dio per l’umanità raggiunge il suo culmine. Per la nostra salvezza, , per mostrarci la misura del Suo Amore, Dio dà tutto se stesso, si compromette con noi, si consegna nelle nostre mani fino ad essere crocifisso.

Il motivo per cui quest’oggi la liturgia ci invita a rallegrarci, quindi, è l’amore gratuito di Dio per noi; il fatto che siamo salvati per grazia, senza nostro merito.

«… perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» La salvezza che il Signore ci ha acquistato con la Sua Passione, Morte e Resurrezione è rivolta a tutti, tutti il Signore vuole salvare. Tale salvezza per grazia è un dono e come tale comporta la libera accettazione da parte dei destinatari. Per questo oggi Gesù preannunziando il suo Mistero Pasquale, lo paragona all’innalzamento del serpente nel deserto (Cfr. Nm 21,8s). Nel racconto del libro dei Numeri, i serpenti vengono mandati per rendere visibile il “veleno” della mormorazione che allontana il Popolo da Dio. Come Israele nel deserto è chiamato a guardare alla “conseguenza del suo peccato” per essere salvato dalla morte, così anche il popolo della Nuova Alleanza è chiamato volgere lo sguardo “a colui che hanno trafitto” per ottenere la liberazione dal peccato.

Il dono gratuito dell’Amore di Dio ci chiama quindi a responsabilità, ci chiede di accoglierlo e di corrispondervi. La prima cosa che siamo chiamati a fare è, infatti, accogliere questo amore, crederci! Il Vangelo di oggi afferma: «chiunque crede in lui» non va perduto, ma ha la vita eterna. Solo dopo averlo accolto, avere creduto all’amore che Dio ha per noi (Cfr. 1Gv 4,16), potremo corrispondervi.

… chiunque crede in lui. Guardare a Cristo, accogliere il Suo Amore, significa, quindi, in prima istanza, credere a questo amore, avere fiducia in Lui anche quando non “capiamo” e non percepiamo il Suo amore. Una fiducia che non può essere solo esteriore, “verbale” («non chi dice Signore, Signore …»), ma che deve tradursi in gesti concreti, in una vita che, sull’esempio del Maestro, sa farsi dono.

Oggi Gesù ci ha assicurato che chiunque crede in lui non andrà perduto e avrà la Vita eterna. A questo punto, però, è il caso di domandarci: “Io credo in Lui?”. Non rispondiamo frettolosamente, ma guardiamo alla nostra vita, a ciò in cui confidiamo, a ciò di cui siamo convinti di non potere fare a meno … “Io credo in Lui?”

Fr. Marco

venerdì 1 marzo 2024

Non fate della casa del Padre mio un mercato!

 «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile …» (Es 20,1-17)

«Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio.» (1Cor 1,22-25)

«Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2,13-25)

​La Parola di Dio della terza domenica di quaresima ci presenta il tema della vera sapienza e della vera potenza. La prima lettura tratta dal libro dell’Esodo, infatti, ci presenta la promulgazione del Decalogo e, con esso, la memoria di ciò che Dio ha operato per il Suo Popolo. La pagina di Vangelo ci racconta la purificazione del Tempio e con essa l’istituzione del vero culto.

L’antico Popolo dell’Alleanza conosceva la potenza di Dio perché aveva assistito ai prodigi compiuti dal Signore per farlo uscire dall’Egitto: ha visto le piaghe d’Egitto e il passaggio attraverso il Mar Rosso; è stato nutrito e dissetato miracolosamente nel deserto; è stato testimone della Teofania al Sinai, quando il Signore si è manifestato con tuoni e fuoco dal cielo. Il Dio conosciuto da Israele è il “Signore degli eserciti”, un Dio vincitore e operatore di prodigi. Con il passare del tempo, tuttavia, Israele ha dimenticato il suo legame con il  “Dio operatore di prodigi” per guardare esclusivamente ai “prodigi operati da Dio”: il popolo chiede miracoli dimenticandosi la comunione con Dio.

Il Popolo santo di Dio conosce anche la sapienza di Dio: ha ricevuto da Dio le “dieci Parole”, i dieci comandamenti, che manifestano e custodiscono l’Alleanza, il rapporto di reciproca appartenenza, fondata sulla fedeltà di Dio. Israele è quindi chiamato ad essere una luce per le genti pagane: il Popolo che ha accesso alla Sapienza di Dio. Purtroppo, però, dimenticando il rapporto d’alleanza che la Legge mediava, il Popolo eletto ha finito per concentrarsi sulla “lettera della Legge” pretendendo di ottenere “crediti” nei confronti di Dio con un’osservanza scrupolosa, ma formale.

«… non fate della casa del Padre mio un mercato». Gesù reagisce a questa perversione del culto. Israele ha “addomesticato” il suo Signore intraprendendo con Lui una sorta di mercato: osservanza formale scrupolosa in cambio di prodigi; «Io ti servo, tu mi ricompensi». L’amore e la comunione con Dio non trovano più posto in questa logica mercantile. Il Cristo, per come oggi ci viene presentato nel Vangelo, appare quasi irriconoscibile: il più mite degli uomini si scaglia, con una “violenza” che ricorda quella del profeta Elia, contro la “mentalità mercantile” in cui il culto (i sacrifici) e le offerte sono intese come un “accumulare crediti” dinanzi a Dio; non si cerca Dio, ma il proprio interesse; non c’è più posto per la preghiera, il dialogo d’amore cercato da Dio.

«Quale segno ci mostri per fare queste cose?» Alla richiesta di un segno, Gesù anticipa il segno definitivo in cui si manifesteranno “la potenza e la sapienza di Dio”: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere … egli parlava del tempio del suo corpo». È nel mistero pasquale, mistero di morte e resurrezione, che il Cristo manifesta la potenza e la sapienza di Dio.

Quale segno è più eloquente della donazione compiuta da Cristo sulla Croce per mostrarci l’Amore di Dio? Il Figlio di Dio dona tutto se stesso, la sua vita, per la salvezza dell’umanità. Il vero segno della potenza di Dio, non è quindi l’aprirsi delle acque del Mar Rosso, ma l’aprirsi, attraverso il costato trafitto di Cristo, dell’amore di Dio per noi. La potenza dell’Amore che, nell’apparente debolezza, risulta vincitore.

Nella Croce di Cristo si manifesta pienamente anche la Sapienza di Dio, la Nuova Legge, che è lo spirito di quella antica e mai abrogata: accogliere l’Amore del Padre - non confidando più sulle proprie forze, come se queste ci ottenessero meriti e potessimo salvarci da soli - e corrispondere con la nostra vita di figli a questo Amore. La vera sapienza che Cristo manifesta è l’abbandono fiducioso all’amore del Padre. Permettere a Dio di manifestarci il suo amore, accoglierlo come il nostro salvatore. Solo così, ripieni dell’amore di Dio, riconoscendo di essergli debitori di tutto, potremo vivere da figli compiendo le opere del Padre.

La partecipazione alla liturgia eucaristica ci fa diventare contemporanei alla donazione d’amore di Cristo sulla croce. Di più: accostandoci all’Eucaristia, facciamo comunione con la Sua morte e resurrezione. Accogliamo in noi questa potenza e conformiamo la nostra vita a ciò che celebriamo, traducendo in gesti concreti e quotidiani di amore gratuito la nostra partecipazione alla passione di Cristo.

Facciamo nostra, quindi, la sapienza e la potenza di Dio che il mondo non può riconoscere perché rientrano in una logica che gli è estranea. Facciamo nostra la logica evangelica dell’amore. Sperimentiamo anche noi la sapienza di lasciarci amare gratuitamente da Dio; sperimentiamo, infine, la “potenza inerme” di un amore che si dona senza misura, che fa sempre il primo passo, che perdona sempre il fratello che ha sbagliato e che non smette di manifestargli amore. Non preoccupiamoci se il mondo si scandalizzerà di noi e ci riterrà stolti, stupidi: è questa “stoltezza” che è vera sapienza agli occhi di Dio.

Fr. Marco

sabato 24 febbraio 2024

Questi è il Figlio mio, l’amato

 

 «…  Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: “Abramo, Abramo!”. Rispose: “Eccomi!”. L’angelo disse: “Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito”» (Gen 22,1-2.9.10-13.15-18)

«Fratelli, se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?» (Rm 8,31-34)

« … E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. … Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!”. E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.» (Mc 9,2-10)

Continuando il percorso spirituale iniziato domenica scorsa nel deserto della tentazione con Gesù, la pagina di Vangelo di questa domenica, seconda di quaresima, ci conduce sul monte della trasfigurazione sul quale il Maestro ci fa intravedere la fine del cammino: la gloria della Resurrezione.

L’evangelista Marco introduce la pericope odierna con una notazione temporale, omessa dalla liturgia, che collega la trasfigurazione agli eventi che la precedono: «Sei giorni dopo». Nei versetti precedenti l’evangelista aveva raccontato la “confessione” di Pietro, il primo annunzio della passione e l’enunciazione, da parte del Maestro, delle “esigenze del discepolato” (Mc 8, 27-38). Ora, sei giorni dopo questi eventi e in conseguenza di essi, Gesù conduce Pietro, Giacomo e Giovanni, i tre testimoni privilegiati, su un alto monte e mostra loro la sua gloria.

È il monte a fare da immediato collegamento tra la prima lettura e il Vangelo. Abramo sale sul monte con Isacco, il figlio amato, per sacrificarlo in obbedienza al Signore. Gesù, invece, sul monte è trasfigurato e conversa con Mosè ed Elia (rappresentanti la Legge e i Profeti). L’evangelista Marco non riferisce l’argomento della conversazione. Solo Luca ci dice che «parlavano del suo esodo che stava per compiersi a Gerusalemme» (Lc 9,31) cioè della sua Passione, Morte e Resurrezione.

Insieme al tema della glorificazione viene introdotto il tema della Passione: per giungere alla gloria che oggi Gesù ci fa intravedere, è imprescindibile passare per la Croce accolta e abbracciata in obbedienza e per amore. Una donazione d’amore che, contrariamente a ciò che accade per Isacco, giunge fino alla fine (Cfr. Gv 13,1), fino al dono della vita. Come ci ricorda la seconda lettura di oggi, infatti: il Padre non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi.

«Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!» La manifestazione della Gloria di Dio giunge al suo culmine con la “nube” e la “voce dal Cielo” che, richiamandosi a quella del battesimo (Mc 1,11), dà inizio alla seconda parte del Vangelo di Marco. La Voce, infatti, conferma e completa la confessione di Pietro (che lo riconosce «il Cristo» cfr. Mc 8,29) ed esorta all’ascolto dell’insegnamento di Gesù e, quindi, alla sua sequela. L’oggetto di tale ascolto è costituito da ciò che precede e segue immediatamente: l’annuncio della Passione e l’esigenza della sequela sulla via della Croce vissuta come donazione d’amore.

«Questi è il Figlio mio, l’amato.» Vorrei sottolineare questo amore che il Padre attesta verso il Figlio al quale la Croce non verrà risparmiata. Quante volte, quando ci troviamo nella sofferenza, prestando ascolto alle insinuazioni del maligno, abbiamo dubitato dell’amore del Padre!  Il fatto che il Padre permetta che attraversiamo la sofferenza non deve farci dubitare del Suo amore. La Croce, la donazione della vita per Amore, infatti, è imprescindibile, è l’unica Via per giungere alla gloria della Resurrezione. Chiediamo oggi la grazia di non dubitare dell’Amore del Padre: «Chi di voi al figlio che gli chiede un pane, darà  una pietra? … Se dunque voi, che siete malvagi, sapete dare buoni doni ai vostri figli, quanto più il Padre vostro, che è nei cieli, darà cose buone a quelli che gliele chiedono!» (Mt 7,9-11).

Ascoltiamo e seguiamo Gesù, il Figlio Amato e nostro Signore. Se anche noi, infatti, sapremo prendere ogni giorno la nostra Croce con il Maestro e donare la vita per amore facendo delle nostre sofferenze un’offerta, allora, divenuti conformi a Cristo, anche per noi il Padre potrà dire «Questi è il Figlio mio, l’amato».

… non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Continuiamo, allora il nostro cammino con la consapevolezza che il nostro Maestro è con noi. Lui è il Signore, il Figlio amato; anche se sceglie di nascondere la Sua divinità, anche nell’ordinarietà della nostra vita, non dubitiamo della Sua vicinanza e percorriamo con Lui la strada che Lui ci ha mostrato e che, passando per la Croce, ci conduce alla Vita.

Fr. Marco

 

venerdì 16 febbraio 2024

Nel deserto dell'intimità per scoprire chi siamo

 «Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi, con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e animali selvatici, con tutti gli animali che sono usciti dall’arca, con tutti gli animali della terra.» (Gen 9,8-15)

«Cristo … nello spirito andò a portare l’annuncio anche alle anime prigioniere, che un tempo avevano rifiutato di credere, quando Dio, nella sua magnanimità, pazientava nei giorni di Noè, mentre si fabbricava l’arca, nella quale poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell’acqua.» (1Pt 3,18-22)

«In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.» (Mc 1,12-15)

La prima domenica di Quaresima la Parola di Dio ci parla di nuovi inizi e di intimità con Dio. Nella prima lettura tratta dal libro della Genesi, abbiamo ascoltato dell’alleanza che Dio ha stabilito con Noè e, in lui, con l’umanità intera, dopo il diluvio causato dal peccato dell’uomo. È un nuovo inizio, una nuova alba del mondo.

Anche s. Pietro, nella seconda lettura, ci parla di un nuovo inizio: i battezzati, rinati dalle acque di cui quelle del diluvio erano immagine, sperimentano la salvezza che li introduce in una nuova vita.

La pagina del Vangelo, infine, segue immediatamente il racconto del battesimo di Gesù al Giordano. La Voce dal Cielo aveva proclamato Gesù il Figlio prediletto in cui il Padre si è compiaciuto; e subito lo Spirito lo sospinse nel deserto: Gesù ha bisogno di restare in intimità con il Padre. Il deserto, infatti, è il luogo dell’intimità con Dio (Cfr. Os 2,16), ma è anche il luogo della tentazione (Cfr. Dt 8,2). È nel deserto che, sperimentando la propria debolezza, l’uomo può comprendere ciò che è essenziale per la sua vita.

Nel deserto rimase quaranta giorni tentato da Satana. Immediato è il riferimento ai quarant’anni di Israele nel deserto. Quaranta indica il tempo della preparazione attraverso la prova. Israele, messo alla prova, cade nella mormorazione per la mancanza di cibo, di acqua ecc. Anche Gesù nel deserto è tentato, ma, restando unito al Padre e accogliendo pienamente la Sua volontà, vince la tentazione. L’evangelista Marco ci presenta Gesù come il Nuovo Adamo: in armonia con il creato (le bestie selvatiche) e servito dagli angeli perché obbediente al Padre.

Vorrei soffermarmi brevemente sul valore della tentazione. In Deuteronomio 8,2 si parla di Israele condotto nel deserto e messo alla prova per sapere quello che ha nel cuore. Anche nel racconto sapienziale di Giobbe (vedi 1,6-12) al satana (l’avversario, l’accusatore) viene concesso di mettere alla prova Giobbe per scoprire se realmente ama Dio o solo i doni di Dio. La tentazione, allora se da una parte ci mette in pericolo di cadere nel peccato, dall’altra ha il prezioso valore di farci scoprire chi siamo, cosa abbiamo nel cuore, di cosa siamo capaci sia in positivo che in negativo; ci dona la misura del nostro amore a Dio, ci fa scoprire a che punto siamo nel nostro cammino spirituale. È una funzione fondamentale: come il viandante deve fare bene il punto della sua posizione per potere procedere senza perdersi, così noi dobbiamo scoprire cosa abbiamo nel cuore, chi siamo realmente, per potere procedere verso l’incontro con il Padre e realizzare realmente la nostra Vita. Per questo Gesù vero Dio, ma anche vero uomo, ha voluto come noi essere tentato, attraversare la prova.

Dopo che Giovanni fu arrestato. Da notare che l’evangelista Marco, per indicare l’arresto di Giovanni, usa il termine “consegnato” alludendo in maniera profetica, fin dagli inizi del ministero pubblico, alla Passione di Cristo. Gesù, vinta la tentazione e avendo accolto pienamente la volontà del Padre, inizia il suo ministero pubblico: annunzia il “compimento del tempo”, l’adempimento delle promesse, l’avvento del Regno.

Per entrare nel Regno, nell’alleanza definitiva che il Padre vuole stabilire con l’umanità intera, è necessario, però, convertirsi e credere, o meglio: convertirsi per credere alla buona notizia della salvezza; fidarsi del Dio che si è rivelato in Gesù Cristo e rinunciare ai nostri idoli: l’avere, il potere, l’illusione di salvarsi con le proprie forze …

È per questo che all’inizio di questa quaresima anche noi veniamo chiamati ad “entrare nel deserto” con Gesù, a vivere un periodo di più intensa intimità con il Padre e a rinunciare a ciò che ci allontana da Lui o pretende di sostituirlo nel darci la Vita. Siamo chiamati a sperimentare che solo Lui è capace di darci ciò che veramente ci sazia.

Fr. Marco.

martedì 13 febbraio 2024

Ritornate a me con tutto il cuore

 Il tempo della Quaresima, tempo forte di conversione, inizia il Mercoledì delle Ceneri con l’esortazione: «Convertiti e credi al Vangelo». [L’altra formula: «Ricordati che sei polvere e polvere tornerai» invita a guardare al fine ultimo della nostra vita così da orientarla ad esso].

Questo invito alla conversione è ripreso dalla prima lettura tratta dal libro del profeta Gioele: «Ritornate a me con tutto il cuore … laceratevi il cuore e non le vesti» (Gl 2,12). Il verbo ebraico Shub (“Ritornate”), infatti, è il verbo della conversione: veniamo invitati a tornare sui nostri passi, a cambiare strada, ad abbandonare le vie del peccato per tornare sulle strade del Signore. Prendendo coscienza che le strade che abbiamo intrapreso portano lontano dalla Vita, sentiamo la necessità di ritornare sui nostri passi.

Per meglio comprendere questa necessità è bene soffermarci brevemente a riflettere sulla realtà del peccato come ce la presenta la Parola di Dio. In ebraico esistono vari termini che traduciamo “peccato”, ma la parola  più comunemente tradotta con “peccato” – khata – letteralmente significa “smarrirsi”, “sbagliare direzione” (anche “fallire” o “mancare il bersaglio”). Lo stesso termine che indica i peccatori, infatti, indica pure gli smarriti: coloro che avendo abbandonato le piste carovaniere, che vanno da un’oasi all’altra nel deserto, si sono persi e sono destinati a morire di sete. Da qui l’urgenza di tornare sui propri passi, di convertirsi, per seguire la via della Vita, la sola che può portarci alla Fonte d’acqua viva.

Ritornate a me con tutto il cuore. La conversione che ci chiede il Signore, infatti, non può essere solo esteriore, apparenza, ma deve coinvolgere tutta la nostra realtà. Troppo spesso viviamo nel compromesso e ci ritroviamo frammentati in molteplici cose: proviamo a seguire più direzioni contemporaneamente cambiando continuamente direzione; siamo abbagliati da molteplici attrattive e in tal modo ci smarriamo. Oggi il Signore ci chiede di unificare tutta la nostra vita ponendola sotto la Sua Signoria. Perché tale conversione sia autentica e ci conduca sulle vie della Vita, essa deve essere libera  dalla ricerca del “proprio Io”, deve ricercare solamente la gloria di Dio.

È quello cui ci invita il Vangelo di oggi: «State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro …» (Mt 6,1). Nel riproporre i tre pilastri della spiritualità giudaica, Gesù, istruisce i suoi discepoli sul modo in cui praticarli perché portino frutti duraturi. Elemosina, preghiera e digiuno, infatti, trovano il loro valore più alto nel decentrare colui che le pratica.

Nel praticare l’elemosina sono portato ad accorgermi del bisogno del fratello, a usargli misericordia, dandogli, se non la precedenza, almeno la stessa attenzione che darei al mio bisogno. Praticando l’elemosina, inoltre, affermo con forza e fattivamente la convinzione che non saranno le cose che accumulo a darmi quella pienezza di vita che desidero; un’affermazione che è al contempo una liberazione dalla schiavitù delle cose.

La preghiera mi porta a decentrarmi perché mi fa riconoscere che non sono solo nella quotidiana fatica, ma ho un Padre che mi ama e che provvede a me; a Lui posso quindi chiedere aiuto e conforto, Lui devo ringraziare per ciò che mi concede ogni giorno e in Lui devo porre la mia filiale fiducia.

Il digiuno, infine, mi decentra liberandomi dalla schiavitù delle “passioni”: esercitandomi a dire no alla necessità del cibo, mi fortifico per resistere alla spinta delle mie disordinate passioni e imparo, passo dopo passo, a rinnegare me stesso mettendo Dio al primo posto.

Queste opere di giustizia, questi esercizi penitenziali, tuttavia, perdono ogni valore se sono fatti al fine di essere ammirati: non ottengono più lo scopo di decentrarmi, ma mi centrano sempre più in me stesso nutrendo il mio Io e la mia Immagine.

Viviamo bene questo “momento favorevole”, l’oggi della salvezza (cfr. 2 Cor. 6,2),  e torniamo al Signore Dio nostro «misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore» (Gl 2,13).

Buona Quaresima. fr. Marco

 

sabato 10 febbraio 2024

Ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!»

 «Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: “Impuro! Impuro!”. Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento» (Lv 13,1-2.45-46)

​« … mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio interesse ma quello di molti, perché giungano alla salvezza. Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo.» (1Cor 10,31-11,1)

«Venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.» (Mc 1,40-45)

​In questa sesta domenica del tempo ordinario, la pagina di Vangelo ci presenta Gesù come il compimento delle attese messianiche e lo fa raccontandoci la guarigione di un lebbroso. Guarire la lebbra, infatti, era uno dei segni per riconoscere il Messia: «I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella» (Mt 11,5).

Come ci ricorda la prima lettura tratta dal libro del Levitico, la lebbra ha un forte valore simbolico: non è una malattia come le altre, ma è considerata una “piaga mandata da Dio” a causa dei peccati e, per questo, è una malattia che esclude dalla comunione col popolo di Dio. La lebbra ci presenta visibilmente l’effetto del peccato: l’esperienza della morte in vita; il malato di lebbra sperimenta la perdita del senso del tatto, del dolore e della temperatura, debolezza muscolare che può portare a deformità e lesioni deturpanti della cute e della mucosa nasale.

Proprio perché così strettamente legata al peccato, solo Dio può guarire dalla lebbra e solo i sacerdoti possono attestare l’avvenuta guarigione. Il lebbroso, inoltre, era obbligato a gridare “impuro, impuro!” e ogni pio israelita si guardava bene dall’avvicinarsi ad uno di essi dato che avere qualsiasi contatto con un lebbroso era causa di impurità.

Venne da Gesù un lebbroso. Nel Vangelo di oggi sia il lebbroso che Gesù contravvengono alla norma rituale: il lebbroso, testimoniando una grande fede, si inginocchia davanti a Gesù riconoscendolo come il Signore che, se vuole, può purificarlo. Gesù, senza fare alcun conto della propria incolumità o del fatto che sarebbe diventato ritualmente “impuro”, osa toccare il lebbroso. Anche in questo comportamento il Vangelo di oggi ci svela chi è Gesù: è il Messia atteso, ma è soprattutto il Signore misericordioso che “non è venuto per i sani, ma per i malati”; è il Signore che si muove a compassione per le miserie dell’umanità.

Gesù ci è mostrato, inoltre,   come il “Servo di YHWH” che si è «caricato delle nostre sofferenze e si è addossato i nostri dolori» (Is 53, 4). Dopo la guarigione del lebbroso, infatti, la situazione iniziale appare rovesciata: inizialmente Gesù è il maestro che va nei villaggi e insegna, mentre il lebbroso è escluso dal consesso umano e costretto a tenersi lontano dai villaggi. Alla fine della pericope, invece, il lebbroso guarito va in giro annunziando la gloria di Dio, mentre Gesù è costretto a restare fuori dai villaggi e in luoghi deserti.

«Se vuoi, puoi purificarmi!» Facendo nostra la preghiera del lebbroso del Vangelo, impariamo da lui a riconoscerci anche noi bisognosi di purificazione e a riporre la nostra fiducia nel Signore che può e vuole purificarci, liberarci dal nostro peccato. Impariamo dal Signore, come ci invita a fare S. Paolo nella seconda lettura, a mettere da parte, se necessario il nostro interesse, per andare incontro al fratello bisognoso. Il mondo è da poco uscito da un periodo di pandemia che ha instillato in noi il timore dei contatti umani. Credo sia concreto in questo contesto il pericolo che, spinti dalla paura che ci fa preoccupare solo di noi, permettiamo al nostro peccato di chiudere il nostro cuore al bisogno del fratello.

Guardiamo a S. Francesco d’Assisi che seppe davvero seguire le orme del Maestro nell’atteggiamento di misericordia verso le miserie umane e soprattutto verso i lebbrosi. È noto, dalle biografie il “bacio al lebbroso”. Nel suo Testamento lo stesso Francesco ci spiega cosa lo ha mosso: « … quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia». Parafrasando S. Paolo nella seconda lettura di oggi, oso dire: facciamoci imitatori di S. Francesco come lui lo fu di Cristo. Così facendo, anche noi, lebbrosi guariti e peccatori purificati, diventeremo annunziatori e testimoni della gloria di Dio e contribuiremo alla venuta del Regno.

 Fr. Marco